venerdì 13 maggio 2016

The Dark Ages, appartenuto e annotato da Tolkien

Questo libro è appartenuto a J.R.R. Tolkien che lo ha letto, annotato e corretto. Un volume che proviene dalla sua libreria personale e che da oggi entra far parte della mia collezione.


The Dark Ages
di W. P. Ker
Foreword di Benjamin Ifor Evans
Thomas Nelson and Sons, 1955
Rilegato


L’autore
William Paton Ker
by Johnstone Forbes-Robertson
Univ. Glasgow Hunterian Art Gallery
William Paton Ker, è stato uno studioso scozzese di letterature comparate, tra i più eruditi del suo tempo. Studiò alla Glasgow Academy, all' Università di Glasgow e al Balliol College di Oxford e nel 1879 ottenne una borsa di studio all’All Souls College della stessa città. Divenne, nel 1883, professore di letteratura inglese e storia presso l'University College di South Wales, Cardiff; nel 1889 si trasferì all’University College di Londra avendo ottenuto l’incarico di Quain Professor e dal 1920, alla sua morte, fu professore di poesia a Oxford.
Dal 6 febbraio 1894 al 17 luglio del 1923, data della sua scomparsa, fu anche membro della Oxford Dante Society, il sodalizio di cui fece parte anche Tolkien dal 10 febbraio 1945 al 15 febbraio 1955.
Tra le sue opere Epic and Romance: Essays on Medieval Literature (1897); Sturla the Historian (1906); Tennyson (1909); Sir Walter Scott (1919); The Art of Poetry (1923) e On Modern Literature (1955). Questo libro, The Dark Ages uscì in prima edizione nel 1904 cui seguirono diverse edizioni e ristampe.

Nella mia collezione trova posto anche Jacob Grimm l’allocuzione che William Paton Ker, presidente della Philological Society, tenne all’annuale riunione della società filologica venerdì 7 maggio 1915.


Tolkien e Ker
Beowulf: the monsters and critics
Copia del dattiloscritto annotato
Tolkien conosceva molto bene il lavoro di W. P. Ker cui fa riferimento più volte durante la relazione tenuta il il 25 novembre 1936 su un poema eroico in antico inglese qual è il Beowulf al Sir Israel Gollancz Memorial Lecture British Academy. Una lettura poi pubblicata il primo luglio del 1937 in Proceedings of the British Academy, con il titolo Beowulf: the monsters and critics, più volte ristampata, e infine pubblicata nella raccolata di pubblicazioni accademiche dello stesso Tolkien, curata dal figlio Christopher nel 1983, sotto il titolo di The Monsters and the Critics and Other Essays. In Italia è stato pubblicato come Beowulf: mostri e critici in Il medioevo e il fantastico a partire dal 2000.

In questo suo discorso, considerato come un lavoro formativo sui moderni studi del Beowulf, Tolkien si rivolge ai critici che lo hanno preceduto che sembrano disprezzare l’autore del Beowulf in quanto “ha messo le cose irrilevanti al centro e quelle importanti ai margini" riferendosi (“cose irrilevanti”) a Grendel e il Drago e per le "cose importanti" alla politica dei re nordici dell'Alto Medioevo. 

E Tolkien cita W. P. Ker e proprio questo libro, The Dark Ages:

Beowulf: the monsters and critics
Prima edizione 1937
I punti principali che mi lasciano insoddisfatto li avvicinerò dalla strada aperta da W.P. Ker, di cui onoro il nome e la memoria. Meriterebbe rispetto anche se fosse ancora in vita e non fosse ellor gehworfen on Frean waere, andato via lontano verso il Signore, su un’alta montagna nel cuore di quell’Europa che amava: un grande studioso, egli stesso illuminante come critico, in quanto mordente critico dei critici. Nonostante ciò, non posso far a meno di avvertire che nell’accostarsi al Beowulf egli fu impacciato dalla quasi inevitabile debolezza della sua grandezza: le storie e gli intrecci devono a volte esser sembrati più banali a lui, uomo di vastissime letture, di quanto non apparissero agli antichi poeti e al loro pubblico. Il nano al posto giusto vede spesso cose che il gigante che viaggia ed erra per molti paesi perde di vista. Considerando un periodo in cui la letteratura copriva un ambito più ristretto e gli uomini possedevano un repertorio di idee e di temi meno diversificato del nostro, dobbiamo cercare di ricreare e apprezzare la profonda riflessione e il robusto sentimento che essi proiettavano su ciò che possedevano.
In ogni caso, Ker è stato poderoso. Perché il suo modo di fare critica è magistrale, sempre espresso in parole insieme pungenti e convincenti, e ciò accade anche quando (come occasionalmente mi capita di pensare) la sua stessa critica appare criticabile. Le sue parole e i suoi giudizi sono stati spesso citati, o riaffiorano variamente modificati e digeriti, probabilmente senza che se ricordi più la fonte. È impossibile evitare di citare il ben noto passo del suo Dark Ages:

Un'opinione ragionevole intorno al valore del Beowulf non è impossibile, sebbene un entusiasmo precipitoso abbia potuto sopravvalutarlo, mentre un gusto più corretto e sobrio può aver rifiutato troppo sprezzantemente di aver a che fare con Grendel o con il drago fiammeggiante. Il difetto del Beowulf è che non c'è nulla di più nella storia. L'eroe è impegnato a uccidere mostri, come Eracle o Teseo. Ma nelle vite di Eracle e di Teseo c'è dell'altro, oltre all'uccisione dell'Idra o di Procuste. Beowulf invece non ha altro da fare, dopo aver ucciso Grendel e la madre di Grendel in Danimarca: se ne va quindi a casa sua nella terra dei Geati [= Svezia meridionale], sinché lo scorrere degli anni non porta il Drago fiammeggiante e con esso la sua ultima avventura. È troppo semplice. E tuttavia i tre episodi principali sono ben modellati e ben diversificati: non ci sono ripetizioni letterali; c'è un mutamento di atmosfera fra la lotta notturna con Grendel a Heorot, e la discesa sotto le acque per incontrare la madre di Grendel; mentre ancora diversa appare la tonalità sentimentale dell'episodio del drago. Ma la grande bellezza, il reale valo re del Beowulf risiede nella dignità del suo stile. Dal punto di vista strutturale è curiosamente debole, e in un certo senso assurdo; perché mentre la storia principale è la semplicità stessa, un mero cumulo di luoghi comuni della leggenda eroica, tutto intorno a essa, nelle allusioni storiche, si rivela un intero mondo di tragedia, vicende di altro rilievo rispetto a quella del Beowulf, più simili ai temi tragici delle saghe islandesi. E tuttavia, con questo fondamentale difetto, con questa sproporzione che pone al centro ciò che è irrilevante e ai margini esterni le cose serie, il poema di Beowulf resta innegabilmente
poderoso. La cosa in sé non vale molto, ma la morale e lo spirito che sono in esso possono competere con gli autori più nobili. * (The Dark Ages, pp. 252-3)

Questo brano fu scritto più di trent'anni fa, ma resta tuttora insuperato. Almeno tra gli studiosi del nostro paese continua
a esercitare un influsso possente. E tuttavia il suo effetto principale è quello di formulare un paradosso che ha sempre abusato della credibilità, anche di coloro che lo accettano, e ha conferito al Beowulf il carattere di un «poema enigmatico». Il principale merito del brano (e non quello per cui viene di solito stimato) risiede nel fatto che accorda una qualche attenzione ai mostri, nonostante il suo gusto corretto e sobrio. Ma il contrasto creato tra il fondamentale difetto del tema e della struttura, e al tempo stesso la dignità, l'elevatezza nello stile, e la perfezione della finitura, è divenuto un luogo comune anche nella critica migliore, un paradosso la cui stranezza è stata quasi dimenticata, allorché lo si assimilava seguendo un'autorità indiscussa*. (Il medioevo e il fantastico, Beowulf: mostri e critici, 33-35)

*Nondimeno Ker modificò il suo giudizio in un particolare essenziale in English Literature, Mediaeval, pp. 29-34. In generale, sebbene con parole diverse, più vaghe e meno incisive, egli si ripete. Ci viene ancora detto che «la storia è un luogo comune e il piano generale è debole», o che «la storia è esile e povera ». Ma apprendiamo anche, alla fine del brano, che: «Queste allusioni che distraggono con riferimenti estranei alla storia principale compensano la loro mancanza di proporzione. Danno l'impressione di realtà e di peso; la storia non appare sospesa per aria [...] ma è parte di un mondo solido». Ammettendo una ragione artistica così fondata per la conduzione del poema, Ker iniziò a minare la sua stessa critica della struttura del testo. Ma questa linea di pensiero non sembra essere stata proseguita ulteriormente. È possibile che, girandogli per la mente, sia stato questo stesso pensiero a far sì che il giudizio di Ker su Beowulf nel suo ultimo, piccolo libro, il suo «libro scandalistico da uno scellino», apparisse più vago ed esitante nel tono, e riuscisse pertanto meno influente. (Il medioevo e il fantastico, Beowulf: mostri e critici, nota 10, 35)

E ancora:

Ma la tempra eroica fondamentalmente simile dell'antica Inghilterra e della Scandinavia non può essere stata fondata su (o forse piuttosto non può aver generato) mitologie divergenti a proposito di questo punto essenziale. «Gli dèi del Nord», ha detto Ker, «hanno un'esultante stravaganza bellica che li rende più simili ai Titani che agli Olimpi; solo, essi stanno dalla parte giusta, sebbene non si tratti della parte che vince. Il partito vincente e quello del Caos e dell'Irrazionale» - mitologicamente, i mostri - «ma gli dèi, che vengono sconfitti, pensano che questa sconfitta non sia una confutazione»*.
(Il medioevo e il fantastico, Beowulf: mostri e critici, 49)

* The Dark Ages, p. 18

Un altro legame con W. P. Ker lo troviamo anni più tardi, nel gennaio 1952 quando, all’Università di Glasgow il Comitato per il W. P. Ker Lecturership si riunisce per definire la Lecturer per il 1952-3, nata nel 1938 su una branca di studi letterari o linguistici, e raccomanda alla University Court di invitare Tolkien. Tolkien accetta l’invito il 31 gennaio dello stesso anno porponendo come data una tra ottobre 1952 e marzo 1953 suggerendo come argomento una lezione sul Sir Gawain e il Cavaliere Verde. La conferenza si tenne il 15 aprile del 1953 davanti ad un pubblico di 300 persone presso l'Università di Glasgow. In apertura, Tolkien disse:

È per me un grande onore essere invitato a tenere una conferenza in questa antica università, e nel nome illustre di W. P. Ker. Una volta ebbi l'occasione di usare per qualche tempo la sua copia di Galvano e il Cavaliere Verde. Mostrava chiaramente che egli - come sempre, a dispetto dell'enorme raggio delle sue esperienze letterarie e delle sue letture - aveva letto l'opera con estrema attenzione. (Il medioevo e il fantastico, Galvano e il Cavaliere Verde, 119)

Il testo di quella conferenza fu poi anch’esso pubblicato in The Monsters and the Critics and Other Essays, dal figlio Christopher che cosi lo presenta:

Galvano e il Cavaliere Verde fu in origine una conferenza in memoria di W. P. Ker tenuta all'Università di Glasgow il 15 aprile 1953. Del testo sembra essere sopravvissuto un unico esemplare dattiloscritto, steso dopo la conferenza (il che fa supporre che vi fosse l'idea di pubblicarlo), come si arguisce dalla frase: «A questo punto le scene della tentazione vennero lette in traduzione a voce alta». A mio padre si deve una traduzione di Galvano e il Cavaliere Verde in versi allitterativi, che era stata completata proprio in quel periodo e fu presentata in forma drammatizzata alla BBC (dicembre 1953; la trasmissione fu ripetuta l'anno seguente). (Il medioevo e il fantastico, 22)

Bibliografia: Christopher Tolkien, Il medioevo e il fantastico, Luni, 2000


L’etichetta “From the Library of J. R. R. Tolkien”
Quando Tolkien morì, il 2 settembre 1973, la sua biblioteca personale fu affidata a suo figlio Christopher, nel frattempo da lui indicato suo esecutore letterario, che aveva intrapreso la strada dell’insegnamento al College come suo padre. Christopher però. a un certo punto, lasciò la carriera universitaria per dedicarsi completamente all’opera del padre decidendo anche di trasferirsi in Francia. Prima di lasciare l’Inghilterra, Christopher donò diversi volumi appartenuti al padre alle biblioteche di Oxford – quasi trecento alla Biblioteca della Facoltà d’Inglese. Circa quarantacinque libri, invece, assieme a molti manoscritti appartenuti a Tolkien finirono nel luglio 1982, nella Bodleian Library di Oxford che oggi sono a disposizione dei lettori.

Altri finirono sul mercato dell’usato. Questi ultimi furono acquistati da Thornton's Bookshop (nota solo come “Thornton”), la più antica libreria universitaria di Oxford fondata nel 1835 da Joseph Thornton, e che allora si trovava al numero 11 di Broad Street. Un tizio,Stanley Revell, proprietario di una macelleria su Abingdon Road, a Oxford, acquistò tutti i volumi e vi appose l’etichetta “From the Library of J. R. R. Tolkien” (vedi foto). Revell non era un grande appassionato di Tolkien, ma dalla vendita di quei libri – moltissimi firmati e annotati dall’autore di The Hobbit – comprò le prime edizioni dei li libri del suo vero grande amore,Thomas Stearns Elliot [fonte].

A proposito dei libri appartenuti a Tolkien, con e senza etichetta, rimando al mio articolo sulla Biblioteca personale di Tolkien.


Questa mia edizione, oltre a presentare l'etichetta su descritta, presenta delle correzioni a matita fatte da Tolkien. Sulla prima pagina bianca, Tolkien di suo pugno scrisse:

correction
P. xv        p. 217


Le correzioni e annotazioni sono diverse nel testo. Qui si presenta quella alla prefazione di W. P. Ker a pagina xv. Nel testo, Tolkien cancella una "s" di troppo nel titolo Poesies populaires latines antérieuses au douzième Siècle di Édélestand Pontas Du Méril citato da Ker e aggiungendo la "r" a margine, giacché la parola corretta è "antérieures" anziché "antérieuses". Da notare che l'errore è presente sin dalla prima edizione del testo del 1904 e mai corretta.


Il testo presenta un'introduzione di Benjamin Ifor Evans, accademico britannico, Provost dell’University College di Londra (1951-1966) e nominato cavaliere da S.M. la Regina d’Inghilterra il 12 luglio 1955, e la Prefazione firmata da W. P. Ker è la stessa della prima edizione del 1904 che qui si riporta per intero.

PREFACE

The scope of this book is described in the Introduction (chapter i.) and in the Editor's account of the whole series, in the next volume, so that there is the less need for a formal Preface. It may be explained, however, that some freedom has been used in the selection and arrangement of matter. Old English literature has been treated, for example, with less detail than Icelandic, because it is more familiar ground in this country, and has been well described in many recent works. In Icelandic, the poems of the Elder Edda have been taken as more important than anything else, but very little is said of the problems of their date and origin. The notes on Irish and Welsh literature are intended merely as illustrations of certain general topics; a fuller account was hardly possible: as it is, this chapter trespasses too far in regions where the author has no special credentials. At the end of the book it was found unnecessary to make any recapitulation, because things are summed up already, to the best of the writer's power, in chapter ii. (The Elements), and also because the way is easy and unimpeded from Eoncesvalles at the close of this volume to the French heroic poetry in the next period. I regret that the newly discovered Chancun de Willame should have appeared too late to be recorded in its proper place. I take this opportunity of referring to the article on the subject by M. Paul Meyer in Romania, and of thanking the unknown benefactor who has printed this epic of William of Orange — older, it would seem, than the poem of Aliscans.
The following works, among others, have been of very great service: Ebert, Allgemeine Geschichte der Literatur des Mittelalters in Ahendlande, 1874-1887; Gröber's account of mediaeval Latin literature in his Grundriss der romanischen Philologie; Mone, Lateinische Rymnen des Mittelalters, 1853-1855; Eddlestand du Méril, Poesies populaires latines antérieuses au douzième Siècle, 1843 (in which will be found the specimens of Latin popular poetry quoted in chapter iii. pp. 208-217); Poole, Illustrations of the History of Medieval Thought, 1884; Paul, Grundriss der germanischen Philologie; Corpus Poeticum Poreale, edited by Gudbrand Vigfusson and F. York Powell, Oxford, 1883; Eddica Minora, by Ranisch and Heusler, 1903, containing the old-fashioned Northern poems that are not included in the great Copenhagen manuscript; Finnur Jónsson's history of old Norwegian and Icelandic literature {Den oldnorske og oldislandske Litteraturs Historie, 1894); Kelle, Geschichte der deutschen Litteratur, 1892-1896; Krumbacher, Geschichte der hyzantinischen Litteratur, second edition, 1897.
Mr Stevenson's welcome edition of Asser, with strong arguments in favour of the Life of Alfred as an authentic work, has only been published within the last few days.
I am greatly indebted to Mr H. W. C. Davis of Balliol for many suggestions in chapter iii.; to Dr Kuno Meyer for advice about Celtic literature; and to Mr Saintsbury for his editorial care throughout.

W. P. K.

London, 25th January 1904.