mercoledì 24 agosto 2011

Albero e Foglia, prima edizione italiana 1976 firmato da Piero Crida



Albero e Foglia
di J.R.R. Tolkien
Traduzione di Francesco Saba Sardi
Rusconi, Milano, 1° ed. 1976, pp. 222
Copertina di Piero Crida
Rilegato con sovraccoperta

Il libro è firmato da Piero Crida.


Note in quarta di copertina
C'era una volta un omino di nome Niggle. Niggle faceva il pittore. Niggle era di quei pittori cui riescono meglio le foglie che non gli alberi, e di solito dedicava molto tempo a un'unica foglia, nel tentativo di coglierne la forma, la lucentezza, l'iridescenza delle gocce di rugiada sui margini. C'era un quadro che soprattutto lo assillava. Era cominciato con una foglia preda del vento, ed era divenuto un albero. Poi, tutt'attorno e dietro all'albero, cominciò ad allargarsi un paesaggio. Ben presto, la tela divenne così vasta che Niggle dovette procurarsi una scala...

Note nei risvolti
Si presentano qui alcune fiabe di J.R.R. Tolkien, precedute da un saggio sulla fiaba.
Accostare la saggistica e la narrativa di Tolkien non vuol dire giustapporre due settori della sua attività, ma offrire due profili diversi dello stesso scrittore. Lo scrittore ha un rapporto con il linguaggio dal quale esula ogni violenza, un rapporto che non consente alcuna artificiosa separazione fra contenuti e stile, ispirazione e applicazione, conscio e inconscio. Perciò la continuità fra il saggista e il narratore è assoluta, in Tolkien, come quella fra il saggista e il poeta in Eliot e in Auden.
Sia nella critica che nel racconto di Tolkien si nota la stessa grande e tipica qualità: la serietà del mistico e del metafisico è sempre mediata dall'umorismo, come è sempre filtrata dall'erudizione.
Conoscitore massimo della letteratura anglosassone, alla quale introdusse generazioni di studenti oxoniani, Tolkien ha scritto, con Il Signore degli Anelli, un'epopea secondo le regole del genere cavalleresco, «diventando», commenta Elémire Zolla, «il servitore appassionato delle forze stesse che aveva sentito pulsare nei versi di uomini morti da più di un millennio». Tutto ciò si ripresenta nell'ultimo racconto di questo libro: Il ritorno di Beorhtnoth, figlio di Beorhthelm.
«A chi sostiene che la sua opera è un'evasione dalla realtà», scrive ancora lo Zolla, «Tolkien replica, nel saggio Sulla fiaba, che, certo, una fiaba è un'evasione dal carcere e aggiunge: chi getta come un'accusa questa che dovreebbe essere una lode commette un errore forse insincero, accomunando la santa fuga del prigioniero con la diserzione del guerriero, dando per scontato che tutti dovrebbero militare a favore della propria degradazione a fenomeni sociali. Non si possono ignorare le realtà presenti, impellenti, inesorabili!, dicono ancora i custodi della degradazione. Realtà transitorie, corregge Tolkien. Le fiabe parlano di cose permanenti: non di lampadine elettriche, ma di fulmini. Autore o amatore di fiabe è colui che non si fa servo delle cose presenti. Esiste una fiaba suprema, che non è una sottocreazione, come altre, ma il compimento della Creazione, il cui rifiuto conduce alla furia o alla tristezza: la vicenda evangelica, in cui storia e leggenda si fondono».

Indice

    ALBERO E FOGLIA
       Sulle fiabe
       «Foglia», di Niggle
   
    FABBRO DI WOOTTON MAJOR
   
    IL RITORNO DI BEORHTNOTH FIGLIO DI BEORHTHELM