sabato 14 novembre 2009

Il medioevo e il fantastico, prima edizione italiana 2000


Il medioevo e il fantastico 
di J.R.R. Tolkien
A cura di Christopher Tolkien
Edizione italiana di Gianfranco de Turris
Traduzione di Carlo Donà
Luni, Milano, 1° ed. 2000, pp. 341
Brossura

Nota di copertina
«John Ronald Reuel Tolkien, il professore che amava i draghi, filologo insigne ed estroso, subcreatore della Terra di Mezzo e dei suoi miti cosmogonici, conservatore, cattolico tradizionalista, antimoderno al punto da preferire i fulmini ai lampioni, i cavalli alle automobili, ha insegnato ormai a diverse genertazioni ad amare il Medioevo ed il Fantastico ed a non considerarli entrambi come qualcosa di negativo, di cui vergognarsi o addirittura di "pericoloso". Tolkien, della Evasione del Prigioniero dal carcere della Modernità, ne ha fatto un atteggiamento positivo e costruttivo, indispensabile per uscire indenni mentre si superano tutti gli ostacoli che si frappongono alla libertà». Così dice G. de Turris nell'Introduzione ed è grazie a questo testo dunque che finalmente è venuto il momento di conoscere e apprezzare il Tolkien medievista, linguista e filologo, grazie al quale si riesce a comprendere meglio il Tolkien narratore e subcreatore di quella Terra di Mezzo, di quel "Mondo Secondario" (per usare le sue stesse parole) che lo accompagnò per mezzo secolo.


Indice

Introduzione di Gianfranco de Turris
Prefazione di Christopher Tolkien

Beowulf: mostri e critici
Tradurre Beowulf
Galvano e il Cavaliere Verde
Sulle fiabe
Inglese e gallese
Un vizio segreto
Discorso di commiato all'università di Oxford

Il medioevo e il fantastico (in originale The monsters and the critics and other essays, 1983) è una raccolta di saggi di J. R. R. Tolkien curati dal figlio Christopher e per la prima volta editi in Italia nel 2000 per la Luni Editrice.
La raccolta è composta da sette saggi sul medioevo e sul fantastico, in particolare sulla letteratura che ha posto le basi al fantasy propriamente detto. Nel corso dei saggi, che in effetti sono conferenze accademiche, Tolkien trova il modo di criticare il mondo universitario inglese, la sua organizzazione, e, in generale, la stessa critica letteraria, che vede di cattivo occhio gli argomenti fantastici e favolistici.

Beowulf
Sul famoso poema epico della letteratura inglese, il Beowulf, Tolkien realizzò due saggi, entrambi presenti in questa raccolta.
Il primo, Beowulf: mostri e critici, è la trascrizione di una conferenza tenuta in memoria di Sir Israel Gollancz alla British Academy il 25 novembre del 1936. In questo discorso Tolkien esamina quello che egli stesso considera il poema che più di tutti ha studiato e, soprattutto, il più tradizionale in assoluto nella cultura inglese. Egli, soprattutto, critica la cattiva fama che ha ottenuto presso molti critici, per i quali i mostri e le epiche battaglie contro questi sono un elemento che ne diminuisce il valore, piuttosto che arricchirlo di significati.
È quest'ultimo aspetto quello che interessa a Tolkien, che ne rivaluta il valore inserendolo anche nella nascente tradizione cristiana, che ne diventa più un arricchimento postumo ad una tradizione orale più antica. Infine ne esalta anche il valore metrico nel saggio Tradurre Beowulf, nota introduttiva alla ristampa del 1940 di Beowulf and the Finnesburg Fragment, A Translation into Modern English Prose di John R.Clark Hall del 1911.

Galvano e il cavaliere verde
Galvano è un cavaliere della tavola rotonda, protagonista del poema Galvano e il Cavaliere Verde, titolo dell'omonimo saggio di Tolkien, una conferenza in memoria di W. P. Ker tenuta all'Università di Glasgow il 15 aprile del 1953.
Questo è, invece, il poema più amato da Tolkien, tanto che nel 1975 venne pubblicata una sua traduzione in versi allitterativi (Sir Gawain and the Green Knight, Pearl and Sir Orfeo, proposta in Italia, a cura di P. Boitani, nel 1986 con il titolo di Sir Gawain e il Cavaliere Verde).
In questa conferenza, Tolkien esamina sia la metrica e la lingua del poema, sia la materia: non solo quest'opera fa parte del Ciclo Arturiano, ma è anche, in pratica, una contrapposizione tra le regole della cortesia e quelle dell'onore e del rispetto della parola data ad un cavaliere o ad un avversario. Proprio il dramma che deve vivere Galvano, afferma Tolkien, fa del poema un'opera di alto valore letterario.

Sulle fiabe
Anche Sulle fiabe è una conferenza, questa volta tenuta l'8 marzo del 1939 all'Università di St.Andrews in memoria di Andrew Lang. Venne prima edita nel 1947 nel volume Essays Presented to Charles Williams, quindi in Leaf and Niggle nel 1964. In questa conferenza Tolkien tratta, in maniera approfondita, del tema delle fiabe e del mondo del fantastico che vi sta alla base.

Inglese e Gallese
Il giorno dopo della pubblicazione originale de Il ritorno del re, ovvero il 21 ottobre del 1955, Tolkien tenne ad Oxford una conferenza per la Fondazione O'Donnell creata da Charles James O'Donnell dal titolo Inglese e gallese.
Il tema, come è facile intuire, tratta di queste due lingue. Tolkien, infatti, non considera il gallese come un dialetto, ma come la discendente dell'originaria lingua britannica, ovvero quel gruppo di lingue, abbastanza comuni tra le varie tribù della Gran Bretagna che erano parlate prima dell'inizio delle varie invasioni, in particolare quelle sassoni: non è quindi solo un incomprensibile linguaggio parlato da una popolazione, quella gallese, praticamente isolata, o semplicisticamente una lingua celtica, ma il legame più diretto, pur con le dovute influenze inglesi, con la lingua dei primi britanni.

Un vizio segreto
Per approfondire, vedi la voce Linguaggi di Arda.
In linea con Inglese e gallese si presenta la conferenza dal titolo Un vizio segreto. Di dubbia attribuzione temporale (probabilmente nel 1931, poiché si fa riferimento ad un Congresso sull'esperanto tenutosi un anno prima - per la precisione Luglio 1930), è in pratica la prima apparizione pubblica delle lingue elfiche ideate da Tolkien. In questo discorso, infatti, il Maestro Inglese disquisisce in maniera brillante sulle lingue artificiali e sulla loro presunta inutilità, ma soprattutto sul gusto particolare che regalano agli ideatori e a quei pochi iniziati che ne vengono a conoscenza.
Partendo dall'esaminare un semplice linguaggio infantile, Tolkien passa per gradazioni attraverso alcune lingue successive (il Nevbosh e il Naffarin), di cui ci vengono presentati alcuni brani, fino a quella che presumibilmente è la forma definitiva (o quasi) del Quenya, la prima delle lingue elfiche inventate da Tolkien.
Interessante, oltre al confronto tra versioni diverse di uno stesso componimento poetico (e di questo bisogna ringraziare il figlio Cristopher) è anche l'accenno di Tolkien al fatto che, in questo caso, la gioia nella creazione di una lingua artificiale non risiede solo in quella combinazione di suoni che risultano gradevoli all'orecchio, prima ancora che la grafia all'occhio, ma anche nel fatto che intorno a questa lingua Tolkien ha iniziato a costruire una vera e propria storia.
Infatti il filologo britannico ritiene che una lingua può considerarsi effettivamente viva solo quando intorno ha una storia che vale la pena di essere raccontata, o scoperta, e quindi quando si possono identificare contesti storici e popoli che effettivamente o presumibilmente l'hanno parlata: nella nascita del Quenya, quindi, risiede la nascita stessa de Lo Hobbit, prima e de Il Signore degli Anelli poi, e di tutto quell'incredibile e splendido apparato, durato una vita intera, che è Il Silmarillion.

Oilima Markirya
Ovvero L'ultima arca. È una poesia scritta in Quenya di cui sono state ritrovate, dal figlio Cristopher, un paio di versioni differenti. Può essere interessante, anche per avere un'idea dell'evoluzione di questa lingua, fare un confronto tra queste versioni:
Man kiluva kirya ninqeoilima ailinello lu'te,ni've qi'mari ringa ambarve maiwin qaine?
Mentre questa è la versione della prima strofa presentata nella conferenza, la successiva è una versione di molto più tarda:
Men kenuva fa'ne kiryamétima hrestallo ki'ra,i fairi nékeringa su'maryasseve maiwi yaimie"?Per entrambe la traduzione è la seguente:Chi mi vedrà la bianca navesalpare dall'ultima spiaggia,spettri pallididel suo seno gelidocome gabbiani vocianti?
Una versione intermedia, sempre con lo stesso titolo, presenta, però, una serie di cambiamenti, anche nella traduzione; ecco anche di questa la prima strofa, con traduzione:
Kildo Kirya ninqepinilya wilwarindonveasse lu'nelinqetalainen tinwelindon.Ed ecco la sua traduzione:Si vide allora una nave bianca,piccola come una farfalla,sui flutti azzurri del marecon ali come stelle.
È abbastanza evidente, dunque, come il processo di evoluzione di una lingua artificiale, come lo stesso Tolkien sostiene, dura una vita intera ed è soggetto a continue revisioni, nel tentativo di renderla il più viva possibile.